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IL FALÒ DELLE VANITÀ
(THE BONFIRE OF THE VANITIES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 luglio 1991
 
di Brian de Palma, con Tom Hanks, Bruce Willis, Melanie Griffith, F. Murray Abrahams, Morgan Freeman (Stati Uniti, 1990)
 

"Dei quattro celebri compari (gli altri sono Scorsese, Spielberg e Lucas) questo (fin troppo celebre?) seguace di Hitchcock è il più portato alle tentazioni formali. È molto meno logico e razionale del maestro, più romantico, più barocco, altrettanto dotato plasticamente e infinitamente più pasticcione.

Adora sorprendere lo spettatore: "prima gli dò l'impressione di ritrovarsi in un ambiente familiare poi, senza preavviso, lo violento. Non deve tornarsene a casa riconfortato. Poiché la vita non è fatta a quel modo, l'ignoto è sempre in agguato". Si diletta di voyeurismo, ovviamente cinematografico. E del tema del doppio. Dipinge delle solitudini, delle vittime, degli innocenti condannati a torto per i quali lo spettatore non può che condividere (vero Hitch?) le pene. Più recentemente (GLI INTOCCABILI, VITTIME DI GUERRA, e qui) tenta di rinnovarsi condannando la manipolazione: sociale, politica, morale. Con notevole talento tecnicistico, con abile utilizzo degli ambienti. Ma anche con scarso approfondimento dei personaggi, basati sovente su una sceneggiatura sconclusionata, su delle psicologie difficilmente credibili.

Tutto ciò, che sta fra le mie note sul regista, si sposa una volta ancora a questo adattamento del celebre best-seller di Tom Wolfe: a riprova del fatto che se un così vasto ventaglio di preoccupazioni sottolinea una personalità indubbiamente spiccata, il persistere, in quelle che alla fine assomigliano sempre di più a delle manie, diventa come sappiamo diabolico...

Questa storia dello yuppie di super lusso che precipita dagli altari di Manhattan alla polvere del Bronx per qualche vizio tutto sommato di forma, serve infatti encomiabilmente a de Palma per fustigare l'iprocrisia, meglio ancora la perversità della cittadella del potere e del denaro nuovaiorchese. Sui toni della commedia amara serve una volta ancora a provarci che l'autore sa sfruttare gli ambienti a dovere (anche se l'uso vertiginoso dei grandangoli sembra ottenere sempre più effetti gastrointestinali e sempre meno angosce esistenziali).

Ma la dismisura è un'arma a doppio taglio che non perdona le approssimazioni depalmiane: doppiati oltre tutto in modo osceno (Melanie Griffith, nel ruolo di un'oca aristocratica e ninfomane, miagola come una Minnie su un 78 giri sformato) tutti gli attori di IL FALÒ DELLE VANITÀ entrano di diritto nella storia del cinema come uno degli esempi più alti di miscasting, che vuol poi dire scelta degli attori in modo inadeguato. Certo, il miscasting è talvolta praticato volontariamente: ma, vista la dismisura con la quale de Palma affronta ogni aspetto del film (la tortuosità della sceneggiatura, l'accentuazione forzosa del taglio delle immagini, dell'illuminazione o dei colori, l'amplificazione grottesca delle mimiche di quei poveri lupi mannari d'attori), c'è da dubitare che questa fosse l'intenzione dell'autore. E da capire invece perché questa riduzione da oltre 40 milioni di dollari di un romanzo fortunatissimo stia rivelandosi come uno dei flop economici più colossali di un'industria non sempre geniale ma perlomeno accorta come quella hollywoodiana."


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